Siamo una Comunità di laici e vogliamo vivere con il Signore della Vita. In questo tempo. Abitando la città dell'uomo.
La fraternità palpabile, la compagnia col Signore e la missione verso i piccoli ritmano le nostre giornate di uomini e donne che lavorano, sperano, soffrono, partecipano all' elaborazione di una cultura capace di riconoscere la dignità di ogni uomo e di promuoverla.

Tema: Beati gli operatori di pace

Canto iniziale: Perdonami

Ne 13,1-3.23-30

In quel giorno si lesse in presenza del popolo il libro di Mosè e vi si trovò scritto che l’Ammonita e il Moabita non dovevano mai entrare nella comunità di Dio, perché non erano venuti incontro agli Israeliti con il pane e l’acqua e perché, contro di loro, avevano pagato Balaam per maledirli, sebbene il nostro Dio avesse mutato la maledizione in benedizione. Quando ebbero udito la legge, separarono da Israele tutti gli stranieri. […] In quei giorni vidi anche che alcuni Giudei si erano ammogliati con donne di Asdod, di Ammon e di Moab; la metà dei loro figli parlava l’asdodeo, nessuno di loro sapeva parlare giudaico, ma solo la lingua di un popolo o dell’altro. Io li rimproverai, li maledissi, ne picchiai alcuni, strappai loro i capelli e li feci giurare su Dio: «Non darete le vostre figlie ai loro figli e non prenderete le loro figlie per i vostri figli o per voi stessi. Salomone, re d’Israele, non ha forse peccato appunto in questo? Certo, fra le molte nazioni non ci fu un re simile a lui: era amato dal suo Dio e Dio l’aveva fatto re di tutto Israele; eppure le donne straniere fecero peccare anche lui. Dovremmo dunque ascoltare voi e fare tutto questo grande male e prevaricare contro il nostro Dio sposando donne straniere?». Uno dei figli di Ioiadà, figlio di Eliasìb, il sommo sacerdote, era genero di Sanballàt, il Coronita; io lo cacciai via da me. Ricòrdati di loro, mio Dio, poiché hanno profanato il sacerdozio e l’alleanza dei sacerdoti e dei leviti. Così li purificai da ogni elemento straniero e ristabilii gli incarichi dei sacerdoti e dei leviti, ognuno al suo compito.

Commento

Nel 587 Gerusalemme viene presa dai Babilonesi. È stato un evento catastrofico per Israele: Gerusalemme era ritenuta invincibile, perché conteneva il Tempio che custodiva la presenza di Dio. Eppure il Tempio venne distrutto e per il popolo iniziò un esilio di settant’anni. Dopo questi settant’anni Ciro libererà tutti i popoli, tra cui Israele: alcuni giudei resteranno nei posti dell’esilio, altri in piccoli gruppi torneranno nella Terra della promessa. In questo contesto operano Esdra e Neemia.

Ritornare è sempre un passo carico di significato: significa ricostruire, riprendere tutte le tradizioni dei padri, ridefinire un’identità ferita dalla storia e confusa.

Anche in Comunità ritornare dagli altri è un passo pieno di significato. Si può ritornare per esempio in una relazione, che per un tempo è stata ridotta in macerie o è stata sospesa. È l’occasione per riprendere qualcosa che si ritiene importante e che merita di rimanere vivo. Così si ricostruisce un pezzo della propria identità e di quella dell’altro.

La piccola comunità giudaica tornata nella Terra della promessa è guidata da Esdra e Neemia e mette le basi della nuova Gerusalemme. Tuttavia appare ripiegata su se stessa ed è ossessionata dall’integralismo, che mischia insieme spinte nazionalistiche e pratiche religiose.

La prima preoccupazione dei capi del popolo è rappresentata dalla purezza: il popolo è convinto del fatto che Israele sia la sola razza santa. Purezza e verità sono i valori da ricercare per la comunità che torna nella Terra della promessa. Il punto però è che il popolo crede che la verità di Dio sia patrimonio esclusivo di Israele e ha perso vista la responsabilità per la propria esistenza, mettendo invece al primo posto come gli altri popoli vivono in relazione a Dio.

In questo frangente si cerca di far rispendere la verità di Dio, che però acceca e umilia le posizioni degli altri. Questa è un’esperienza che nella storia è tornata molte volte e si fonda sulla tentazione costante di cercare la verità umana, che però non è la verità di Dio. Quella di Dio mette al primo posti tutti gli uomini e benefica tutti. Quella raccontata da Neemia invece divide, umilia e allontana.

Il sacerdote di cui parla Neemia, anziché separarsi dalla moglie, decise di andarsene e diede inizio a un culto scismatico, quello dei Samaritani.

Tutto questo tempo è molto duro, muto di bene, un periodo della storia di Israele in cui non ci sono profeti, ma scribi e sacerdoti, cioè uomini della Legge.

Nella storia c’è anche uno scriba che prende le distanze dalla riforma di Neemia e non appoggia l’integralismo del popolo. Per questo motivo ha preso dei foglietti e li ha fatti girare tra il popolo in opposizione alla riforma e in difesa di Dio, che appare mistificato. Questi foglietti parlano di un profeta di nome Giona, vissuto secoli prima durante l’impero degli Assiri, al tempo del re empio Geroboamo II. Il racconto dello scriba è l’attuale libro di Giona.

Giona significa colomba, che è lo stesso significato di Israele, il popolo eletto di Dio. Giona rappresenta l’uomo religioso e credente, che è tentato dal fondamentalismo e dall’integralismo, che vuole umiliare e abbagliare gli altri. Il libro di Giona ci avverte che anche noi abbiamo l’identità come quella di Giona e che, se vogliamo cercare la verità, non dobbiamo cercarla contro gli altri, ammantandola con la Parola di Dio.

Canto finale: Salmo 33

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