Siamo una Comunità di laici e vogliamo vivere con il Signore della Vita. In questo tempo. Abitando la città dell'uomo.
La fraternità palpabile, la compagnia col Signore e la missione verso i piccoli ritmano le nostre giornate di uomini e donne che lavorano, sperano, soffrono, partecipano all' elaborazione di una cultura capace di riconoscere la dignità di ogni uomo e di promuoverla.

Tema: Via, lontano da me

Canto iniziale: Vorremo dirti

Mt 25,41-46

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Ognuno è invitato a lasciare che la Parola lo tocchi nell'intimo e ad annotare impressioni e reazioni.

È un brano molto duro, inserito in un discorso escatologico, in cui è espresso un giudizio allo stesso tempo personale e universale. Questo giudizio non è preceduto da un processo, perché tutta la vita dell’uomo è considerata il tempo del processo.

All’origine di questo brano gli studiosi hanno rintracciato fonti diverse: tradizioni apocalittiche, una parabola del pastore, che potrebbe essere gesuana, e un dialogo sulle buone opere. In ogni caso l’intenzione dell’evangelista è di collocare il brano in una prospettiva universalistica.

La durezza delle parole è sottolineata dall’uso del verbo “maledire”, piuttosto raro nel Vangelo, e dal termine “maledetti”, che è presente solo in questo passo, e dal fatto che ci si trova davanti a una sentenza presentata come finale e definitiva.

Il peccato che l’evangelista mette è in evidenza è quello dell’omissione, che consiste nella mancanza di amore e determina la maledizione. Il giudice è presentato come spietato e inappellabile, come re che non ha niente di paterno. In questo caso però il Padre, che è la fonte della benedizione, non maledice, non è il motivo della maledizione degli uomini.

La maledizione è invece l’effetto di chi è in relazione con il maligno, di chi rompe il legame di solidarietà con Dio e con i fratelli. Il fuoco eterno a cui si accenna richiamava alla mente dei contemporanei il fuoco costante della geenna, la discarica in cui gli abitanti di Gerusalemme gettavano rifiuti e qualche volta cadaveri e in cui appunto vi era un fuoco sempre acceso.

Nel brano però il fuoco ha anche un valore metaforico, che acquista una rilevanza ancor più forte per l’eternità della pena. Tutto questo quadro sembra non accordarsi con il Dio misericordioso di cui ci parla sempre Gesù e che chiede di perdonare fino settanta volte sette.

Bisogna però tenere presente che la dura condanna che viene presenta qui è il frutto dell’ostinazione di chi non riconosce i propri errori, di chi non cambia idea, di chi non converte le proprie condotte quotidiane.

Queste parole interpellano dunque anche noi e smascherano le nostre giustificazioni e le distanze che preferiamo prendere dagli altri piuttosto che assumercene la responsabilità.

È infatti nel quotidiano che ci giochiamo la possibilità di amare come Gesù oppure di scegliere la via che alla fine porta alla maledizione.

Ascolto della Parola: Mt 25,41-46

Commento

Ogni uomo è libero e per questo può reagire al male e può adoperarsi per non fare del male agli altri. I Padri del deserto dicevano che ogni uomo ha dentro di sé demoni, passioni e strutture mentali che influenzano l’agire quotidiano. Chi se ne lascia dominare diventa malvagio; chi invece conosce il nome di quei demoni e di quelle passioni e strutture mentali che lo condizionano può limitare la loro influenza e può usare la loro forza per fare il bene.

Occorre, secondo i Padri del deserto, dire con precisione il nome di quei demoni e di quelle passioni e strutture mentali che determinano il nostro agire, non identificarsi con essi e contrastarli.

Strumenti di questa lotta sono la Parola, che dà la forza per resistere nel combattimento, e la docilità all’azione dello Spirito. Chi pensa di non poter essere liberato rimane confuso e non riesce a lottare.

In questa lotta poi è importante tenere presente che il male si nasconde dietro le apparenze di realtà buone, fa leva sul desiderio di ogni uomo di essere libero e di vivere una vita piena, spinge a imitare il maligno, che mette al primo posto le esigenze dell’io e a non prende in considerazione quelle degli altri.

Il male si manifesta anche “nella noia pigra”, cioè nel cercare la felicità senza tenere in considerazione gli altri. Quest’opera si vede soprattutto nei rapporti uomo-donna, in cui esigenze egoistiche si nascondono sotto le apparenze di valori importanti e belli, come l’amicizia, e nel rapporto con i figli, quando non sono educati a vedere, servire e aiutare altri che non siano se stessi e per questo motivo vedono il bene solo come un peso e una rinuncia enorme.

Canto finale: Signore pietà

 

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