Tema: Quello che noi abbiamo udito
Canto iniziale: Scriviamo a voi
Mt 3,16-17; 17,1-5
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
Commento
Nei due brani sono presentati due momenti rivelativi della persona di Gesù. Il primo è all’inizio della sua esperienza pubblica, l’altro all’avvio della conclusione della sua esperienza: entrambi i testi registrano a proposito di Gesù la stessa affermazione che proviene dal cielo.
I discepoli hanno sempre camminato al fianco di Gesù eppure, su alcuni aspetti importanti della rivelazione, rimangono parecchio indietro. A rallentare il loro passo ci sono delle aspettative che portano i Dodici fuori strada e che li fanno scontrare con un problema di ascolto.
Subito prima della trasfigurazione Pietro aveva espresso una confessione fondamentale, lodata da Gesù stesso. In quella occasione Pietro ha ricevuto una beatitudine sull’ascolto. Quando Gesù parla di ascolto non si riferisce solo a quello umano, ma anche quello del Padre.
Dopo la trasfigurazione Gesù non parla subito e con il suo silenzio lascia che si riveli il senso dell’ascolto, che consiste nell’accoglierlo per ciò che è veramente: non si tratta di ascoltare solo le parole di Gesù, ma accogliere il suo mistero.
L’ascolto ci pone dunque davanti al Signore, in lui e con lui. Senza questo ascolto il Signore è lontano, perché è l’ascolto che dà sapore alla presenza. L’ascolto è lo spazio in cui Gesù agisce e può guarirci dalle nostre paure. Senza un ascolto vero si agonizza dietro a ciò che vorremmo sentirci dire, per sentirci a posto e ben voluti. Tutto ciò che sentiamo solo con le nostre orecchie incatena la nostra vita.
L’ascolto è il senso che abbiamo per custodire la complessità della vita, è un’arte che chiede di essere sviluppata, coltivata e curata, mettendo insieme l’udito dell’orecchio e quello del cuore. L’ascolto è quell’inclinazione verso l’altro che ci permette di cogliere ciò che dice e ciò che non dice.
Ai Dodici è mancato l’ascolto, perché hanno preteso di fissare l’ospitalità del mistero di Dio in un luogo. L’ospitalità vera, invece, non è quella della capanna, ma quella che genera un radicamento, una permanenza, che è il vero ascolto.
L’ascolto matura nel silenzio. Per i Dodici è stata necessaria un discontinuità. Se non c’è questo taglio, che chiede di svuotarsi e di essere coraggiosi, non c’è spazio per l’ascolto. Questa cesura i discepoli la comprenderanno bene dopo la croce, quando perderanno tutto il loro modo di comprendere la realtà.
L’ascolto dello Spirito trasforma e apre all’inquietudine e alla speranza. Per ascoltare lo Spirito occorre prestare l’orecchio al modo con cui la Parola del Signore ci interpella. Fare ciò è un ottimo esercizio per apprendere l’arte dell’ascolto.